25 aprile 2017

Schmitt come un “vigliacco”, un “imboscato”, un “carrierista”? A proposito di un dibattito radiofonico su Radio Radicale nello scorso anno.

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Nel compilare la mia Webgrafia italiana di Carl Schmitt, per la cui “novità” ho dovuto superare una lunga riluttanza, mi imbatto oggi in una registrazione di Radio Radicale del 15 marzo 2016, avente per oggetto: «Dibattito su Carl Schmitt in occasione della pubblicazione dei volumi "Imperium. Conversazioni con Klaus Figge e Dieter Groh 1971" (Ed. Quodlibet) e “Stato, grande spazio, nomos” (Ed. Adelphi)». Riassumo in premessa ciò che illustrerò e documenterò in dettaglio. Il Prof. Fulco Lanchester nel 1983 pubblicò il testo di una sua Intervista a Carl Schmitt, cosa di cui ha fatto sempre grande vanto e sulla quale Giorgio Agamben pubblicò un libro nel 2005. Quella Intervista non era autorizzata: a me era stato dato l'onere dal prof. Kaiser di rintracciare tempestivamente Lanchster e di comunicargli il contenuto della sua lettera, per impedire la pubblicazione del testo che poi avvenne su Quaderni costituzionale. Il Prof. Lanchster disattese l'ordine del prof. Kaiser da me a lui comunicato tempestivamente, secondo quanto mi era stato chiesto di fare. Da allora, adempiuto il mio compito, la mia ambasceria, non sono più intervenuto sulla questione. Ieri però ho preso conoscenza della registrazione radiofonica di Radio radicale dello scorso anno. Vi si dicono cose tali da parte del prof. Lanchester, lesive a mio avviso della dignità e della memoria di Carl Schmitt, da indurmi a pubblicare senza altro indugio le lettere da me ricevute nel 1983, in una stessa busta, da parte di Carl Schmitt e di Joseph H. Kaiser. Sperando di aver dato un primo orientamento di cosa trattasi a chi inizia a leggere, proseguo nel mio testo ricostruendo per l'occasione fatti e circostanze, che possono avere un loro interesse nella storia della cultura italiana e tedesca, dove ho avuto un piccolissimo ruolo. Cerco di curare al meglio la forma letteraria, apportando sempre nuove redazioni in una tecnica di scrittura che consente continue modifiche. Una precisazione è ancora necessaria. Non intendo discutere in alcun modo del valore concettuale ciò che Schmitt avrebbe comunque detto o a lui viene attribuito. È ovvio che qualsiasi cosa dica comunque un personaggio come Schmitt ha una sua indubbia importanza. Qui Carl Schmitt è una qualsiasi persona, nella cui casa qualcuno è entrato estorcendo una “intervista” non autorizzata. Ricordo cose gravissime che al riguardo mi erano state dette da Joseph K. Kaiser, delle cui parole non ho fatto certo registrazione audio a futura memoria, ma resta comunque agli atti la sua lettera autografa, accompagnata da specifico mandato con contestuale lettera autografa di Carl Schmitt, qui pubblicate. Io all'epoca onorai tempestivamente il compito di ambasceria che mi era stato affidato. Il destinatario seppe, ma non ne volle sapere. Io avevo adempiuto il mio compito. Perché oggi, e proprio oggi ritorno sulla questione? Perché solo oggi prendo conoscenza della registrazione di radio radicale e perché la mia indignazione supera i limiti precedenti entro cui l’avevo contenuta. Carl Schmitt non ha figli in vita e i suoi ultimi parenti sono dei nipoti che vivono in Spagna e seguono assai poco o alquanto limitatamente anche quelle vicende che toccano la dignità del loro avo, non già le complesse questioni scientifiche per le quali occorre studio e preparazione. A differenza di Heidegger, Schmitt non ha avuto un figlio che curasse il suo lascito intellettuale. Questa funzione per Schmitt era svolta da Joseph H. Kaiser, che però è anche lui morto. A me affidò un incarico che intendo ancora oggi onorare. Non mi aspetto che la mia indignazione trovi unanime condivisione. Anche questo è un rapporto di amicizia/inimicizia. La nostra Webgrafia documenta come la denigrazione, per non parlare di diffamazione e demonizzazione, sia l'approccio principale con il quale media e studiosi, diciamo inquadrati nel sistema, si approcciano a Carl Schmitt. Chiaramente, se Schmitt non avesse una sua grandezza oggettiva, come anche Heidegger e Jünger, non vi sarebbe nessun bisogno di parlarne. Occorre perciò trovare il modo di dirne tutto il male possibile, facendo la tara di quanto di utile vi si possa comunque ricavare. Come Gunther Krauss ebbe a pagare per essersi avvicinato a un simile Maestro, anche a me può ancora toccare qualcosa di simile, ma non ho più 20 anni come il giovane Krauss, e da sessantenne inoltrato posso tranquillamente sostenere qualsiasi urto.

 Un tempo ero ascoltatore abituale di radio radicale. Dissi una volta a Marco Pannella il motivo per il quale mi ero disaffezionato. Quindi, solo oggi vengo a conoscenza di un dibattito il cui contenuto mi spinge, mi costringe a prendere posizione, rendendo pubbliche alcune lettere del mio archivio privato, una di Carl Schmitt che mi dice sostanzialmente di mantenere i contatti con il prof. Joseph H. Kaiser per tutte le questioni di carattere editoriale o privato che lo riguardavano. A suo tempo, nel modo da me scelto di archiviare i miei documenti, separai le buste dalle lettere, ma credo che le due lettere - di Schmitt e di Kaiser - fossero contenute nella stessa busta, a me indirizzata da Kaiser. Conservo a parte le buste e quando le ritrovo le metterò nella stessa busta. La lettera di Schmitt a me indirizzata non ha data e il contenuto lascia intendere che è contestuale a quella di Kaiser, che è del del 30 maggio 1983 e che è non solo da me custodita ma è anche qui pubblicata insieme a quella di Carl Schmitt, a me indirizzata.

L’oggetto del dibattito era o doveva essere il volume, anzi i due volumi usciti l'uno presso Quodlibet, l'altro presso Adelphi, riguardanti Carl Schmitt. Si tratta in un caso della trascrizione dell'Intervista radiofonica integrale concessa nel 1971 da Carl Schmitt a Klauss Figge e Dieter Groh. La trascrizione delle quattro bobine è stata fatta da Frank Hetweck e Dimitrios Kisoudis, con la collaborazione di Gerd Giesler. Ma non si è trattato solo del già molto impegnativo lavoro di trascrizione, quanto soprattutto del ricco commento e apparato di note. Il tutto tradotto egregiamente in italiano da Corrado Badocco. Di loro nel dibattito non si fa nessun cenno, tutti presi a i dibattenti a parlar di se stessi e dei loro meriti. Tipico atteggiamento referenziale degli accademici, forse non solo italiani. Con Dimitrios Kisoudis, grazie a quella tecnica che Schmitt non disprezzava affatto, almeno per gli usi pratici che ne poteva fare (vedi qui, sotto  voce tecnica), ho potuto stabilire un contatto facebook e una continua interlocuzione per scambio di notizie e opinioni.
È lui ad avermi detto dell'aiuto che gli ha prestato Günter Maschke nella redazione delle ricchissime note. Il secondo volume del quale non si è parlato affatto in Radio radicale, pur essendo annunciato nel titolo, è la traduzione italiana dell'imponente raccolta, annotata, a cura di Günter Maschke, del volume uscito nel 1995 presso Dunker Humblot, con un ricco commentario e annotazione, di grandi pagine e piccoli caratteri nell'edizione tedesca venute 668 e in quella Adelphi, di solito a caratteri più grandi, che non ho ancora visto in sole 524 pagine... Trattasi in realtà - mi informa telefonicamente lo stesso Maschke, che è contento dell’edizione Adelphi - di una selezioni di saggi da Maschke editi e commentati, di cui il secondo (Frieden oder Pazifismus?) è di 1010 pagine: troppe anche per Adelphi. Ma di questo secondo libro non si è parlato affatto, ed è un fatto curioso, dopo che era stato annunciato. Presso l’Editore Adelphi avrebbe già una volta dovuto uscire il Glossario, nella sua prima edizione, che già conteneva delle parti il cui contenuto, mi confidò Franco Volpi, sembra non abbia superato i criteri di valutazione della prestigiosa casa editrice. Conosco bene questi “segreti” perché li seguivo dalla casa editrice Giuffrè, da dove con mio rammarico venivano passati titoli ad altro editore. Il Glossario ritornò poi da Giuffrè, nella collana Civiltà del diritto, con il testo nella versione di una traduttrice della Adelphi. A me venne chiesto di preparare a “tambur battente” la consueta Presentazione, ma io messo sull'avviso delle difficoltà intrinseche proprio da Maschke rifiutai l’incarico. Adesso per fortuna ne esce una seconda accresciuta edizione tedesca, che dovrebbe trovare il suo traduttore. Aspetto ora di vedere il volume di Adelphi, per verificare le differenze con l'edizione tedesca. L’università di Roma La Sapienza ne ha acquistato di recente una copia, che però è ancora in prestito. Il volume costa 60 euro e non mi sento di affrontarne il costo, disponendo dell'edizione originale tedesca.

In realtà, i volumi di Schmitt erano solo un pretesto perché i due dibattenti, o forse tre, parlassero soprattutto di loro stessi. Intendiamoci: cose interessanti. Hanno parlato forse a malincuore di un libro che nelle sue quasi 300 pagine supera direi tutte le biografie finora uscite e certamente il volume “concorrente” che reca per titolo un “Giurista davanti a se stesso”, che come titolo non è meno posticcio di quello scelto dal curatore italiano con “Imperium”. Nel titolo originale tedesco si riconosce meglio la citazione da cui trae origine: «Solange das Imperium da ist. Carl Schmitt in Gespräch mit Klauss Figge und Dieter Groh, 1971». Il volume di Neri Pozza, curato da Agamben, è pure del 2005, e prende il titolo dall'«Intervista» di Lanchster, il cui carattere “non autorizzato” era già noto da un articolo da un articolo di Günter Maschke sulla recezione di Schmitt in Italia, apparso dapprima su Der Staat, e poi raccolto in volume nel volume Der Tod des Carl Schmitt (Karolinger, Wien, 1987, p. 76, nt. 125). Darò in seguito la referenza di Der Staat, di cui ben ricordo, perché ricordo ancora divertito il panico di Lanchster, che temeva io stessi traducendo questo articolo per la rivista Behemoth, allora da me diretta insieme con l'avv. Klitsche de la Grange. Minacciava Klitsche de la Grange, che è un avvocato, di fargli causa se io avessi tradotto e pubblicato il contenuto di una nota di Maschke. Ed il povero Teodoro andava a leggere il contenuto di quella nota e lo rassicurava che non si parlava affatto di Lanchster, ma di tutt'altro. Ed infatti quello da me tradotto era uno splendido saggio di Maschke su Habermas detrattore e avversario teorico di Schmitt. Il saggio, che esiste nella mia traduzione italiana, venne poi pubblicato in tedesco nel citato volume della Karolinger Verlag.
Ricordo bene l'episodio perchè il prof. Avv. Kaiser mi disse che se proprio Lanchster voleva una causa, lui non aveva nessuna difficoltà a fargliela. Il prof. Kaiser come avvocato era noto a livello mondiale e le sue cause ricevevano onorari astronomici. L'orientamento nostro, cioè della “scuola”, ovvero degli amici e discepoli di Schmitt, era di evitare lo scandalo e il clamore. Noi sapevamo qual era la verità e ci bastava questo. Personalmente, forse temendo di apparire invidioso di fronte a un agguerrito coetaneo che faceva carriera, mentre io dovevo guadagnarmi da vivere in una casa editrice, inchiodato 40 ore la settimana a correggere bozze e rileggere testi, ritenni assolto il mio compito, assegnatomi da Schmitt e da Kaiser, leggendogli il testo della lettera che ora pubblico, per onorare ancora una volta l'incarico che mi fu dato.

I due libri, di cui si è dibattito su Radio radicale, proprio nulla dicono sulle affermazione finali del signor Lanchster, che mi paiono oltremodo offensive di quello che io ritengo forse il mio unico Maestro, anche se l'ho visto solo due volte ed ho scambiato con lui poche lettere. Devo anche dire che allora non ne capivo ancora la grandezza e soprattutto ero impigliato dalle difficoltà di una lingua straniera, il tedesco, che avevo studiato e appreso faticosamente e che ancora mi costa fatica.  Molto però devo agli altri più antichi allievi di Schmitt, che mi avevano accolto nella loro cerchia. E fra questi in particolare ricordo qui Günther Krauss, che è di estrema importanza per la ricostruzione della vicenda biografica. Era presente nel momento decisivo in cui Carl Schmitt rilasciava quell'Intervista radiofonica del 1° febbraio 1933, che io avevo citato nella mia Presentazione (vista da Schmitt) al Custode della costituzione, uscita nel 1981. Avrei voluto tradurla io per intero e pubblicarla da qualche parte. Mi ha fatto piacere vederla finalmente nel volume di Neri pozza curato da Agamben nel 2005. Quel che stona nel libro è il titolo: Un giurista davanti a se stesso, che è un titolo del prof. Fulco Lanchster, che può certamente andar bene se riferito a se stesso, ma che stona se riferito a Carl Schmitt che rifuggiva da ogni rappresentazione letteraria di se stesso. Rinvio a quanto dice al riguardo Helmut Quaritsch nella sua edizione degli Interrogatori di Norimberga... Già questo è il tema... Nella narrativa, anche scientifica del dopoguerra, Carl Schmitt, come anche Jünger e Heidegger, devono essere segnati e bollati per il semplice fatto di essere vissuti all'epoca di Hitler... Il volume edito da Quodlibet contiene al riguardo illuminanti riflessioni che sono sfuggite ai due disputanti. Del resto, già lo diceva Protagora: l'uomo è misura di tutte le cose e ognuno vede quel che vuole vedere ed è facile che uomini diversi vedano cose diverse.

Anima Schmitt (20.9.1931-17.6.1983)
Per spiegare la mia ritrosia nei contatti con Schmitt, cosa di cui avevo possibilità e che avrei potuto sfruttare alla Lanchster e altri che si affollavano alla porta di Schmitt, vorrei narrare un episodio privato. Dove prima abitavo in Roma, in Via Elea, viveva da solo uno o due piani sopra di me un signore molto anziano senza nessuno che lo assistesse. Di lui non sapevo nulla, ma vedevo con quanta fatica usciva di casa e si muoveva. Lo incontrai davanti all'ingresso che dava sulla strada. Io ero in entrata e lui in uscita. Per cedergli in passo, feci un rapido movimento all'indietro, ma fu forse questo mio gesto ad avergli fatto perdere l'equilibrio e lo vidi cadere per terra e il sangue uscirgli dalla testa e dalla fronte. Per fortuna, era una ferita superficiale senza conseguenze. Ma dopo pochi mesi, si disse, cadde dalla finestra del quarto o quinto piano, e morì così. Io ho pensato che potesse trattarsi di suicidio, vivendo in tanta solitudine e senza nessuno che lo aiutasse e accudisse negli ultimi anni di vita. Da allora rimasi traumatizzato e sempre ebbi timore davanti alla fragilità delle persone anziane. Schmitt di anni ne aveva di più del mio vicino di casa. Ed è per questo motivo che a lui mi rivolgevo con molto riguardo e molta cautela. Nelle  due visite che gli feci - prima di Lanchster - era molto in forma, per la sua età. Nella seconda visita, dove avevo accompagnato un altro anziano, Vincenzo Zangara, che molto teneva a che io lo portassi da Schmitt, i due risero e scherzarono e Zangara voleva portarsi con la macchina Schmitt in Italia, ma Schmitt disse che non era possibile perché sarebbe stato un ostacolo al traffico fra l'Italia e la Germania. Chiusa la non inutile digressione proseguo, con l'occasione dell'arrabbiatura prodotta in me dalla registrazione di radio radicale, ai miei Erinnerungen di Schmitt e della sua scuola, o meglio della cerchia dei suoi amici e delle persone che lo rispettavano, ammiravano, volevano bene per quanto la confidenza lo potesse permettere. Le condizioni di Schmitt precipitarono proprio nel 1983, in prossimità della morte dell'unica figlia di Schmitt, che avvenne esattamente il 17 giugno del 1983, mentre Lanchster pensava alla sua intervista e all'utilità che poteva avere per la sua carriera. Il conferimento dei “pieni poteri” a Joseph H. Kaiser si spiega in questo contesto e la “registrazione”, indebitamente fatta da Lanchester di quella che è al massimo una conversazione privata non impegnativa, denota in effetti una debilitazione senile di Schmitt, la cui morte sopraggiunge due anni dopo, il 7 aprile del 1985. Non so da chi Lanchster si sia fatto raccomandare per andare da Schmitt. Non che uno andasse senza farsi presentare da qualcuno e bussasse semplicemente alla porta. Ho qualche sospetto, ma è un sospetto e resta tale.

Non ne avrei mai scritto, ma Lanchster divenuto Professore e Preside della facoltà mi costringe ora a farlo. Non attribuisco alcun valore scientifico o biografico alla tanto sua decantata Intervista e non intendo contraddire apprezzamenti che altri vogliano fare, in comprensibile spirito di colleganza e solidarietà corporativa. La Intervista che si continua ad avvalorare solo in virtù di una sponsorizzazione tutta accademico puà a mio avviso interessare il medico, il neurologo, che voglia ricostruire le condizioni fisiche mentale di Carl Schmitt mentre gli moriva l'unica figlia, ma non interessa il filosofo, il filologo, che lavora su testi autentici. Io lessi il testo della sua Intervista prima della pubblicazione. Cosa era successo. Per un suo modo di agire, essendo allora ad inizio carriera, penso di far vedere il testo, non a me - non fosse mai! -, ma al prof. Zangara, che accompagnato da me e dopo sua incredibile pressione (ho narrato altrove l'avventura), aveva potuto finalmente visitare Schmitt, che - posso dirlo - non ne voleva sapere, se io non avessi fatto da intermediario... Salto varie cose, per venire al punto. Zangara, che mi voleva un poco di bene, mi chiamò subito perché riteneva che alcune cose che si trovavano scritte nell'Intervista non erano gentili e riguardose verso di me... A questo punto potrei anche sospettare che siano una mera invenzione letteraria... Ma di cosa si trattava? Schmitt sembrava temere una sorta di censura che venisse a impedire la pubblicazione della traduzione italiana della sua Verfassungslehre, decisamente la sua opera più importante, sulla quale tutti i costituzionalisti di mestiere (anche Lanchester e il giovane Chessa)  sono costretti ancora oggi a sbattere la testa.

Per la cronaca e la ricostruzione dei fatti, e per la modesta parte che mi compete,  non mi pare inutile fornire alcune informazioni. Fresco di laurea, avendo studiato il tedesco con il prof. Contadini e come materia curriculare, ed avendo una certa maestria nell’arte della traduzione, mi fu affidata la traduzione del Custode della costituzione (Der Hüter der Verfassung), di cui all'epoca molto si dibatteva in Italia, principalmente come contrapposizione ad Hans Kelsen. Schmitt però in una delle sue lettere a me scritte mi disse che assolutamente non era quello l’oggetto della sua trattazione. Mentre andavo avanti nella traduzione, mi resi presto conto che non aveva senso proseguire senza risalire al contesto necessario, al necessario riferimento preliminare di quel libro, cioè la Verfassungslehre. Lo disse all'editore Giuffrè, o meglio al curatore della collana Civiltà del Diritto,  che su mia segnalazione fece richiesta a Duncker Humblot per i diritti di quattro titoli schmittiani: Der Hüter der Verfassung, di cui avevo già iniziato la traduzione, la Verfassungslehre, Der Nomos der Erde, Politische Theologie. Quando giunsero i contratti da Berlino fu chiesto a me di tradurli dal tedesco in italiano e ne conoscevo quindi perfettamente i termini. La traduzione doveva essere terminate e pubblicate entro un certo tempo, credo tre anni, che scadevano appunto nel 1984. Della Verfassungslehre mi assunsi io l'onere perché era una necessario integrazione della prima opera che già avevo tradotto, Il Custode. Mi era stato chiesto di eseguire anche la traduzione del Nomos, ma io non me la sentivo di poter stare nei tempi contrattuali, cioè il 1984. Per inciso: La Dottrina della costituzione, uscì proprio nel 1984, cioè nei tempi contrattuali previsti, per cui le preoccupazioni di Schmitt, se veramente espresse - cosa di cui dubito - non avevano proprio nessun fondamento, nessuna ragion d’essere. E ciò era perfettamente noto a Kaiser. Se la memoria non mi inganna, mi trovavo insieme a Kaiser, in un albergo romano, quando scrivemmo insieme una lettera a Schmitt. Poiché Kaiser mi disse che Schmitt aveva ormai difficoltà agli occhi, e leggeva a fatica, io scrissi un breve testo a carattere stampatello, dove credo che comunicavo l’uscita della Dottrina della costituzione o la sua imminenza: non ho conservato copia e bisognerebbe trovare il riscontro nel Nachlass. È qui da aggiungere che Schmitt aveva ben compreso come io avessi ben compreso quello che era il corpus della sua dottrina costituzionalistica. E mi mandò direttamente in omaggio, tramite l'editore, il poderoso volume dei Versassungsrechtliche Aufsätze, con l'evidente desiderio che io li traducessi. Ma io lavoravo ancora alla Casa Editrice Giuffrè, alla redazione dell'Encicolpedia del Diritto, e non eseguivo certamente in ufficio le mie traduzioni, ma a casa, tornato dall'ufficio, e quindi dopo cena, dalle 21 alle 24. Non me la sentivo di sobbarcarmi un nuovo onere, anche se ne avevo il desiderio. Questo desiderio lo espressi parecchi anni più tardi, ormai morto Schmitt da almeno due decenni. E lo dissi all'editore. Ma qui accade qualcosa di veramente incredibile. L'editore non mi informò mai di aver sottoscritto il contratto con l'editore tedesco, ma mi chiede la traduzione decorsi i consueti tre anni contrattuali. Ma a me non era stato mai affidato l'incarico di traduzione e mai e poi mai è stato fatto con me il regolare contratto di traduzione. La cosa si spiega - se una spiegazione si può dare - con le vicende della vita, ossia la malattia e la morte dei miei genitore, le ambasce private, la perdita della consuetudine con il Direttore della Collana, che si dimenticò di avvisarmi dell'avvenuta conclusione di un contratto con l'editore tedesco che ero stato proprio io a sollecitare, per onorare un espresso desiderio di Schmitt. Proposi di rifare il contratto, ma la casa editrice Giuffrè non versa un buone acque e non può sostenere il relativo onere. Ne sto facendo in questo blog una traduzione privata, che però non è accessabile dalla rete, se non a pochissime persone, non volendo certo io violare nessun copyright. È questo è quanto fondate potessero essere le supposte preoccupazioni di Schmitt per l'uscita della sua Verfassungslehre, che io ritengo la sua opera principale, che mi onoro di aver tradotto. Curiosa anche la storia del Nomos der Erde. I contratti da me tradotti dicevano chiaramente che doveva uscire presso l'Editore Giuffrè nello stesso hanno degli altro quattro libri. Il Custode uscì nel 1981, la Dottrina nel 1984, e dunque dentro i tempi. Invece, con una operazione che non ho mai apprezzato, uscì presso Adelphi, nel 1991, a cura dell'ottimo amico Castrucci, che mi narrò tutti i retroscena adelphiani. Certo, se avessi saputo che si poteva intendere in modo elastico il termine contrattuale, mi sarebbe piaciuto moltissimo aver tradotto anche il Nomos della Terra. Dovrei poi anche parlare di alcuni altri testi che avevo iniziato a tradurre, ma che mi sono stati per così dire sottratti, perché altri si erano fatti avanti, ed io cedetti volentieri. Una storia a parte è stata quella della Teologia Politica II, tradotta infine da me. Facevano parte della stessa tornata contrattuale che ho detto. È un testo piccolo, di difficoltà notevolmente inferiori a quelle superate per gli altri due testi, una passeggiata. L’incarico era stato affidato a Carlo Roerssen, l'organizzatore del convegno su Schmitt tenutosi a Giurisprudenza e di cui parla Lanchster. Di Roerssen, che non so se è ancora in vita, ho un curioso ricordo. Espresse il desiderio di conoscermi e la cosa mi fu comunicata da una ricercatrice di Giurisprudenza, poi divenuta Ordinaria. Io che ancora lavoravo con contratto carcerario presso Giuffrè, mi giostrai con i miei permessi e pomeriggi liberi, per poter andare atrovare Roerssen all'università. Rimasi sconcertato, quando lui mi chiese la ragione della mia visita. Non so, non ricordo se fu in quell'occasione, credo di sì, forse no, che mi disse che non aveva intenzione di condurre a termine la traduzione della Teologia Politica II. E fu così che la traduzione venne a me, ed uscì nel 1992, sempre in Civiltà del Diritto. Non mi dispiacque affatto di aver eseguito queste “facile” traduzione italiana, ma erano e sono problematiche diverse da quelle dei testi costituzionalistici nei quali mi ero specializzato. Si tenga conto che nei sette anni in cui ho lavorato alla redazione dell'Enciclopedia del Diritto il mio lavoro consisteva nel leggere e rileggere i volumi dell'Enciclopedia del Diritto in tutto il ciclo produttivo: dal testo dattiloscritto all'Impaginato finale. Questo comportava un’acquisizione del linguaggio giuridico italiano che aveva certamente un riscontro nella traduzione delle opere giuridiche di Carl Schmitt, alle quali aggiungo una traduzione non meno impegnativa come è stata la Raccolta dei Saggi raggruppati con il nome di “Posizioni e concetti in lotta con Weimar-Ginevra-Versailles, da me licenziata nel 2007, e condotta in una situazione familiare privata alquanto difficile. Di questo volume ricordo (ma non faccio il nome) di uno studioso italiano che era stato presso Kaiser e gli proponeva una traduzione di questo volume, ma eliminando i saggi più compromettenti. A me sembrava un'eresia. Proposi all'editore Giuffrè questo volume, che è giunto in porto. Per chiudere questo excusus di retroscena editoriali aggiungo che mi sono sempre riusciti ostici i rapporti editoriali fra Giuffrè e Adelphi. Io chiedevo titoli per la casa editrice in cui lavoravo, e gli stessi titoli finivano poi presso un altro editore, che certo non mi ringraziava, ma le cui dinamiche non potevo più seguire. Qualcosa mi diceva e faceva sapere Franco Volpi. Ed una delle cose che mi ha detto non la posso scrivere. Non sto dicendo che Adelphi non sia un'eccellente casa editrice, il cui catalogo ho sempre ammirato. Dico che nei fatti mi è stata nemica. Ed è Schmitt che insegna ad aver rispetto per il nemico, un rispetto qui del tutto meritato, anche per l'uscita del volume che riprende una selezione della raccolta (oltre 1600 pagine) tedesca di saggi di Schmitt, fatta da Günter Maschke. Spero di aver ampiamente dimostrato come le frasi, attribuite da Lanchster a Schmitt, per quanto riguardava l'andamento della traduzione della Verfassungslehre non potessero turbarmi in nessun modo, ovvero avrebbero solo potuto farmi pensare che Schmitt ormai con la testa non ci stava più. E se così fosse, allora non si può distinguere una parte "buona" da una parte "non buona” in una stessa prestazione intellettuale di una stessa persona in una stessa giornata, anzi nell’arco di qualche ora, non potendo Schmitt resistere lo sforzo di un tempo ulteriore, come già potevo sapere dalle mie visite del 1980, e del 1981, quando Schmitt stavo ancora relativamente bene. Dimenticavo un’integrazione utile da fare, ma distinta e in un contesto diverso. Oltre ad aver fatto traduzioni da Schmitt, direi delle opere principali, ho fondato anche tre riviste, cartacee, che avrebbero dovuto essere un’integrazione del lavoro di traduzione, ed anche avviato una collana, di cui è però uscito un solo volume, non da me tradotto, ma rivisto, e soprattutto integrato con le parti omesse dall'editore Laterza nella sua edizione della Dittatura del 1975. Per la rivista Behemoth, che nasceva povera, ed è pure morta povera, avevo chiesto a Kaiser il favore di una "autorizzazione” a titolo gratuito per la traduzione del “Colloquio sul potere”. Mi fu concessa e utilizzai quella traduzione nei Seminari e nelle Lezioni con i miei pochi studenti, quando mi si concedeva di poter insegnare. Il Colloqui apparve poi presso il Melangolo, che però non aveva valido titolo. Cosa era successo? Il Melangolo chiese i diritti a Neske, che li concesse, ma senza averne lui titolo, perché non era legittimato oltre la sua edizione tedesca. Kaiser lasciò a mia discrezione di procedere a un'azione legale contro l’editore tedesco, che mi dissero era persona anziana, ed io ho sempre avuto un grande rispetto per gli anziani. Kaiser mi comunicò che l’anziano editore tedesco, per questa mia rinuncia, si inchinava ai miei piedi. Ma il mio disappunto per l'editore genovese non era la sottrazione del titolo, ma la sua ostilità preconcetta per l'autore che metteva nel suo catalogo. Le demonizzazioni dei suoi curatori sono veramente indegne e ridicole. Il compianto amico Bernard Willms, anche lui della cerchia schmittiana, scrive in un suo saggio, da me tradotto e pubblicato nelle mie riviste, che un Autore si può certamente criticare, fosse anche il proprio maestro, ma prima bisogna leggerlo e comprenderlo, non una volta, ma quattordici volte, e solo dalla quindicesima lettura in poi, può e deve iniziare la critica. Invece, presso certi editori, di lettura non se ne fa neppure mezza, e si pubblica un editore per metterlo subito in cattiva luce, o per un puro fatto commerciale, se si pensa di ricavarne dell’utile. Tutto questo mi è infinitamente estraneo.

Non esisteva assolutamente nulla di tutto questo e i suoi timori - se esistevano per davvero e non erano una invenzione letteraria del suo Intervistatore - erano assolutamente infondati. Schmitt era informato pressochè settimanalmente sull'andamento della traduzione. Come? Ho il rimpianto di non aver sviluppato la mia corrispondenza con Schmitt quanto sarebbe stato possibile... Possiedo solo cinque o sei lettere. In compenso, però ho sempre sviluppato e mantenuto un cospicuo epistolario con i suoi maggiori discepoli ed amici. Fra questi il Dr. Giesler, oggi presidente della Carl Schmitt Gesellschaft, che era anche lui di Plettenberg e faceva spesso visita a Schmitt. E fu proprio Giesler a darmi i necessari consigli per la mia prima visita a Schmitt, dal quale non andai con danaro pubblico, come altri, ma solo perché mi trovavo in vacanza privata con amici a Colonia, a due ore cioè da Plettenberg. Mi accompagnò con la macchina uno degli amici con cui ero in vacanza, l'arch. Bardelli, che scattò una foto che però poi non mi diede e io non mi curai di chiedergli: oggi sarebbe per me preziosa. Confidavo che ciò che dicevo a Giesler venisse riportato a Schmitt. Inoltre, il prof. Zangara mi strappava quasi dalla macchina da scrivere i fogli della traduzione, che eseguiva la sera dalle 21 alle 24, a casa, di ritorno dalla Casa Editrice Giuffrè, dove lavoravo alla redazione dell'Enciclopedia del diritto. Insomma, si trattava di normali tempi editoriali. Terminata la mia traduzione, e da tempo consegnata, vi erano poi tempi di uscita dei volumi della Collana Civiltà del Diritto... Schmitt non aveva assolutamente nulla da temere, e se qualcosa voleva sapere non doveva chiederlo certo a Lanchster che nulla sapeva e poteva sapere. Zangara nella sua maturità ed esperienza aveva motivo di essere in disappunto per quanto poteva riguardarmi... Io non ero offeso, ma trovavo incomprensibile il presunto comportamento di Schmitt nei miei confronti.

Per inciso, giacché Lanchester enfatizza il patrocinio di Cossiga a un convegno allora organizzato da carlo Roerssen, delle quali potrei raccontare alcune stranezze, ma la cui aneddottica risparmio alla storia del diritto, o meglio dei giuristi, a me ormai noto come traduttore di Schmitt mi fu chiesto da un giudice costituzionale di adoperarmi per far venire Schmitt in Italia con tutti gli onori, i comodi, le agiatezze in occasione di un anniversario della corte costituzionale che ricorreva in quegli anni. Ne scrissi proprio a Giesler che dovrebbe ancora conservare le mie lettere. La sua risposta tassativa fu che Schmitt a quell’età non era in grado di viaggiare né in Germania né all’estero.  Diedi questa risposta al Giudice costituzionale, telefonandogli dalla Giuffré, dove lavorai fino a tutto il 1985, per fare vita universitaria in quel di Teramo. Il giudice non insistette e la cosa si chiuse. Ma se Carl Schmitt fosse stato ricevuto con tutti gli onori dalla Corte costituzionale italiana credo che la cosa avrebbe avuto maggior risonanza del convegno a Giurisprudenza, sia pure patrocinato da Cossiga. Quanto a questi non so se fosse un conoscitore della lingua tedesca, ma so per certo che aveva letto la mia traduzione del Custode della Costituzione. Ne avevano parlato con Miglio… e quindi il suo “patrocinio” fu in qualche modo favorito dal mio lavoro. Il tradurre, ne sono ben consapevole, è un lavoro modesto ed ingrato. Ma non sempre: ricordo la gratitudine di un giudice costituzionale per la mia traduzione della Dottrina della costituzione, un apprezzamento di cui tengo più conto che di quello di Cossiga, se vi è mai stato, e se mai abbia letto il frutto del mio lavoro.

Il secondo aspetto personale, alquanto idiota, contenuto nell'Intervista Lanchster riguarda il povero Tommissen, al quale tutti volevamo un gran bene. In un certo passo del testo dell'Intervista, che da allora non ho più rivisto, riguardava la sua Bibliografia. Schmitt avrebbe detto - secondo Lanchster - che quella Bibliografia non era fatta bene. Vi era del biasimo. E all'epoca cosa vi era di meglio? Quello di Juan Camaaño Martinez, che nel 1950 aveva scritto uno dei primi libri divulgativi sul pensiero di Schmitt, facendo una ricostruzione. Il libro - se era questo che intendeva dire - è una cosa, ma la Bibliografia in senso proprio e tecnico ben altra cosa. La mia curiosità era alle stesse. Feci di tutto per procurarmi questo libro. Non ricordo bene, ma credo di averlo ricevuto per posta, in fotocopia o nell'originale, direttamente da Anima Schmitt. Le fotocopie che conservo hanno annotazioni autografe di Schmitt. Successivamente, in una vacanza a Santiago di Compostella, ho conosciuto anche di persona Juan Camaaño Martinez. Purtroppo, come in molti altri casi, fra la mia età relativamente giovane e la loro età relativamente avanzata vi era di mezzo la morte, e quando le mie conoscenze aumentavano e più avrei potuto fare tesoro delle loro conoscenze, di quanto loro sapevano per averlo visto e vissuto, io non potevo loro più chiedere nulla... Triste assai e commovente la mia amicizia con Günther Krauss che raccontava a me, a puntate, le sue Memorie, i suoi Erinnungen an Carl Schmitt, interrotti per sopravvenuta morte proprio sugli anni tragici del 1936. Naturalmente, io avevo anche i miei propri problemi, quelli del vitto e dell'alloggio, che dovevo procurarmi. La vita non è fatta solo di studi, più o meno diletti. Ed ognuno ha la sua vita, ed una vita non dipende dall’altra. Lanchster era molto occupato a farsi la sua carriera... Io pensavo ad altro.

Günther Krauss (2.1.1911-7.9.1989)
Riprendiamo il filo. Quando confrontai la presunta migliore Bibliografia di Camaaño Martinez con quella di Tommissen, che a ritmo di ogni 10 anni la ripubblicava accresciuta, pensai che Schmitt aveva perso parecchio di lucidità mentale, sempre che si debba riconoscere la fondatezza e validità dell'Intervista non autorizzata e pubblicata malgrado il divieto che era stato fatto e da me comunicato. Anche Tommissen, quando lesse l'Intervista su Quaderni costituzionale ci rimase piuttosto male, ma non troppo. Conservo una sua lettera che pubblicherò appena la ritrovo e sempre che i miei legali non mi facciano ostacoli. Come commentava Tommissen per la parte che lo riguardava. Così: a pag. x vi l’«infamia», cioè il giudizio sprezzante sulla sua Bibliografia, alla quale il “fiammingo" ha dedicato se non tutta la sua vita, certamente una buona parte... Tutti ricordiamo il fervore e l’accanimento con cui raccoglieva e catalogava ogni cosa che riguardasse Schmitt... Credo di aver contribuito anche io alla sua raccolta, ma lo facevano tutti, perché lui chiedeva a tutti... Ed oggi io ne continuo il lavoro. Poco più avanti nel testo edito dell'Intervista si tesseva un elogio del fiammingo Tommissen. Al che il fiammingo si chiedeva: prima l'«infamia», po la «lode», dove sta la sintesi? E ne concludeva con un apprezzamento non lusinghiero dell'Intervistatore. Di altre cose minori adesso non ricordo bene, ma la comune intesa era che il testo non aveva carattere di “autenticità” e quindi non poteva essere considerato affidabile. Certo, nessuno nega che Lanchster sia stato in Plettenberg da Schmitt. Da un certo momento in poi tutti ci volevano andare, e fra questi anche Miglio, che però non ci riuscì. Ci anche Bolaffi, credo di sapere da chi raccomandato, ma Bolaffi non era certo un allievo di Schmitt e non intendeva fare omaggi di nessun genere.

Pagine 1-640
La registrazione di Radio radicale ho detto che è interessante, ma non per quanto riguarda Schmitt, ma per quanto riguarda lo stesso Lanchster, che rende noti i suoi rapporti con Predieri, che scrisse un libro osceno sulla presunta viltà di Schmitt. Dopo averlo comprato, ne avevo buttato via il volume, ancora prima di finirne la lettura, giudicandolo inutile. Ne avevo scritto una recensione per una rivista “trasgressiva” che prima me l'aveva richiesta e poi non aveva voluto saperne di pubblicarla, forse perchè deve aver scritto che dopo 300 pagine aveva buttato via il libro. Non me ne sono più credo e credo che dati da allora la fine di un'amicizia “trasgressiva”, ma non troppo. Il contenuto del libro, alla luce dei chiarimenti lancesteriani, con tutte le sue incoerenze è già nel titolo. Schmitt sarebbe dunque un “nazista” certamente, ma “senza coraggio” per non averlo avuto il coraggio quando? Durante la prima guerra mondiale, quando del nazismo non esisteva neppure il nome e nessuno ne sapeva niente. Il “coraggio” consiste poi nel premere il grilletto da dietro una trincea, oppure nel buttarsi alla garibaldina in mezzo alla mischia. Una letteratura molto interessante nella quale mi sto addentrando (ad esempio, come volume introduttivo, Margaret Macmillan) è sulle orini e cause della prima guerra mondiale, antefatto della seconda. Sarebbe interessante da un punto di vista concettuale non se Carl Schmitt avesse avuto titolo per "imboscarsi”: la sua statura fisica era la metà di quella di Jünger, ad occhio e croce credo gli arrivasse alla cintola: io ho potuto conoscere di persona e vedere visivamente tanto Jünger quanto Schmitt e mi pare che queste fossero le dimensioni. Mi riesce difficile capire di quale utilità bellica potesse essere il “guerriero” Carl Schmitt. Cosa Schmitt pensasse in questo periodo della prima guerra mondiale, quando scoppiò nel 1914 e quando finì nel 1918, a me e alla mia ricerca non è ancora noto, e non lo apprendo né da Predieri né da Lanchster. Il “coraggio”, dunque, Schmitt avrebbe dovuto dimostrarlo non “da nazista” contro il nazismo, assumendo posizione rischiose dentro lo stesso nazismo, ma già nella prima guerra mondiale, dimostrando il suo valore guerriero da lillipuziano sui campi di battaglia. Al contrario, Jünger che era un “nazista” fin dalla nascita, questo valore lo ha ben dimostrato nella prima e nella seconda guerra mondiale. Non riesco ancora a capire se per Predieri, eroe “partigiano", cioè che conta è il valore bellico e l'essere stato “nazista”: se cioè il valore bellico può assolvere o meno dal “crimine” dell'essere stato “nazista”. Non ha bisogno poi di essere descritto e commentato il valore militare dei nostri partigiani, la cui Liberazione abbiamo da poco festeggiato, i quali sparano i loro colpi dopo che gli Alleati hanno invaso, pardon iniziato a liberare la nostra beneamata patria (il nome Lanchster non mi sembra di origine italiana), con qualche piccolo danno collaterale, fra cui il bombardamento e la totale distruzione dell'Abbazia di Montecassino, che i barbari tedeschi, gli “invasori”, avevano risparmiato. Quanto a “coraggio” rivelo una conoscenza tutta da verificare che invece riguarda il “fiammingo” Piet Tommissen, che la seconda guerra mondiale la visse e di coraggio pare proprio non gliene mancasse. Ma al momento non posso dire di più, e quel che mi preme di dire è il Bibliografio e documentarista di Carl Schmitt non aveva proprio nessun rimprovero da fare a Carl Schmitt. La nostra italica tradizione di “coraggio”, e quindi il nostro titolo (ma Lanchster è di origine alleata o italica?) a dare del vile agli altri, risale ai tempi di Maramaldo e si è rinnovato nella ultima guerra alla Libia, non quella del 1911, ma del 2011, su ordine dell'Alleato Liberatore del 1945, verso il quale, grazie ai Partigiani d'Italia, restiamo devoto e fedeli servitori.

Pagine 641-1265
Avevo buttato via, espungendoli dagli scaffali schmittiani della mia biblioteca, i due costosissimi tomi di Predieri (95.000 lire), aa adesso devo riprenderlo - grazie a Lanchster - per studiare le fonti tutte italiane della “viltà” e del “carrierismo” di Schmitt. Insieme però avvio altri due lunghi post: a) la pubblicazione integrale del fascicolo del SD su Carl Schmitt, 300 pagine, da dove soltanto è possibile capire il “coraggio” e la posizione di Schmitt dentro il nazismo; e b) il resoconto stenografico del processo nella causa Prussia contro Reich, che è in fondo il vero oggetto della Intervista autobiografica del 1971. Riesco a capire anche il livore fanatico di Predieri, che era stato anche “partigiano”, e chissà che questo non gli abbia giovato per la sua “carriera” più del presunto “imboscamento” di Schmitt nella prima guerra mondiale. Non sono abituato a ragionare con questi schemi, proprio non mi appartengono, ma il modo di ragionare costante e naturale di Lanchster: tutto ha una origine banale e venale, opportunistisca. Evidentemente, descrive se stesso e dipinge il mondo a sua immagine e somiglianza. Certamente non si può non rimanere sconcertati davanti a sue affermazioni, gravi, gettate lì e che in assenza di verifica lasciano interdetti, una verifica che per la verità non si sentiva il bisogno di fare, ma in questo bisogna riconoscergli un certo impulso dato alla ricerca, che sarà per noi prezioso nella redazione degli Apparati, prestando attenzione a ciò che ci sarebbe parso altrimenti del tutto trascurabile. Devo qui dire che ero inizialmente caduto in un errore, pensando che la “viltà” di Schmitt, immaginata da Predieri e messa in un titolo inequivocabile, si riferisse al periodo nazista, al fatto cioè che durante questo periodo Schmitt non avesse avuto il “coraggio” di opporsi al nazismo, dando ovviamente per scontato che negli anni 1933-36 ognuno si dovesse opporre a Hitler, anche a costo della propria vita. Maschke osserva al riguardo, ma penso che sia una valutazione corrente, come nei primi tre anni del nazismo ciò che sarebbe stato da spiegare era non la mancata opposizione, ma il mancato consenso. E comunque proprio il sopra da me citato Günther Krauss formula un’ipotesi contenuta in alcune righe del “famigerato” articolo “Der Führer schützt das Recht”, dove Schmitt dice che ciò che usciva fuori dalla logica della ragioin di stato ed era mera vendetta privata doveva essere trattato con i rigori del diritto penale vigente. Krauss lancia qui l'ipotesi che le ritorsioni del dicembre 1936 abbiano qui la loro origine... È una ipotesi alla cui verifica sto ancora lavorando e dove spero escano documenti che avvalorino o escludano questa ipotesi. L’Intervista del 1971 mi riesce illuminante per chiarire la situazione di quegli anni, ma di questo nel dibattito radicale non vi è traccia. Quello che comunque si capisce delle segrete manovre lanchsteriane è che Predieri doveva essere lo Zarka italiano, distruttore di Schmitt, e Lanchster con la sue parole e il suo cattivo nozionismo ci fa sapere di essere stato il suo supporter. Ben mi spiego la presentazione del libro di Predieri alla facoltà di Scienze Politiche - di cui Lanchster secondo De Leo sarebbe il pilastro – e dello strano divieto all'epoca da parte dell’editore di non poter avere il libro, in modo da poterlo leggere, prima della presentazione. Ricordo che mi anche allora mi arrabbia molto per questo fatto. E solo ora grazie alle rivelazioni di radio radicale capisco quello che prima mi riusciva strano. Ma è anche vero che non sacrificavo le mie notti per venire a capo di questi misteri lanchsteriani. Pur avendo convissuto nella stessa facoltà con Lanchster da circa 40 anni, so assai poco di lui, e non credo che i suoi antenati Lanchster fossero mai stati un migliaio di anni fa vicini di casa dei Caracciolo che erano insediati nelle città e nei paesi del regno di Napoli. Penso che i suoi antenati siano venuti a liberarci con gli Alleati, ma mi occupa già abbastanza la biografia di Schmitt per dovermi interessare di quella di Lanchster. So però che è stato molto attivo negli ultimi tre o quattro anni di mio servizio alla Sapienza nell'impedire che io potessi insegnare agli studenti quella Dottrina della costituzione che tradussi nel 1984, cosa che ho potuto fare solo nell'ultimo anno, trattando solo i prime sette capitolo. Sarebbero occorsi almeno quattro anni accademici, cosa che il Preside Lanchster ha accuratamente impedito. Evidentemente si è prefisso di fungere lui da Zarka italiano nella lotta contro Carl Schmitt. L’Alleato e il Partigiano uniti in una guerra gloriosa contro il Tedesco.

Ma la “viltà” non sarebbe questa, se ho ben inteso, ma la si riferisce agli anni della prima guerra mondiale, dove Schmitt evitò di andare al fronte e in compenso si potè costruire la larriera preparandosi i titoli per la libera docenza, mentre i suoi possibili concorrenti morivano in guerra. Insomma, se Schmitt da estimatori e detrattori è annoverato fra i massimi giuristi e pensatori politici del XX secolo, dobbiamo ciò a un banalissimo “imboscamento”. Se Carl Schmitt avesse fatto il soldato, noi non avremmo avuto il Pensatore di cui stiamo qui affannandoci a parlare e a studiarne non solo l'opera, ma il pensiero che è scritto non dai libri, con la scrittura, con il modo di condurre la propria vita. Francamente ci sembra proprio troppo ed è la ragione, la sola ragione, per la quale pubblichiamo le lettere che avevamo. Schmitt è stato diffamato in vita, ma continuare dopo la sua morte e soprattutto davanti  a chi sa e non può continuare a tacere, questo è davvero troppo. Succeda quel che succeda, ma la cosa non è accettabile né tollerabile. Gli uomini sono peccatori, Schmitt era un cattolico e sa molto bene questo. Non respinge l’idea del peccato, come era ad esempio in Marx, il cui ateismo - insegnava Del Noce, mio non amato Maestro - nel rifiuto dello “status naturae lapsae”, cioè del peccato originale. Non è il caso di Schmitt, ma il giudizio sui suoi peccati era di competenza del suo confessore, finché era in vita, e ora del Tribunale dell’Aldilà. I due libri su cui si doveva dibattere in ogni caso non trattano minimamente di questo tema, che è certamente una utile traccia di ricerca.

Certamente può essere interessante, è interessante scavare negli anni della formazione giovanile di Schmitt e la registrazione/provocazione mi è di sprone ad una lavoro che ho già intrapreso e che da pensionato posso condurre meglio, al riparo dalla repressione accademica e dai procedimenti disciplinari, comunque mascherati. Abbiamo già tracciato un parallelo fra l’esistenza di Julius Evola e di Carl Schmitt sotto i bombardamenti della seconda guerra mondiale. Andiamo ora raccogliendo il materiale per studiare i riflessi che la prima guerra mondiale ha avuto sulle loro esistenze, che per Schmitt hanno già un'indicazione, una data iniziale: il Kulturkampf. Gli interpreti sono poi prepotenti: hanno bisogno di piegare l'oggetto delle loro richerche e del loro studio alle esigenze del momento, alla loro carriera accademica e al modo in cui possono spendere e mettere sul mercato il loro lavoro. L'indecenza che li caratterizza e di cui forse neppure si accorgono è una dipendenza dall'ideologia e dall'asservimento della loro epoca e del loro Paese di gran lunga maggiore di quanto non abbia influito sulla vita e la formazione di Carl Schmitt, che ha saputo essere in condizioni estremamente difficili più libero di quanto non lo siano i suoi critici e detrattori in un mondo “liberato” dopo essere stato abbondamente “distrutto” e condotto sulle soglie dell'Armageddon.

Il pregio della Intervista, vera, del 1971, credo l'unica mai concessa da Schmitt in cui introduce gli elementi più cruciale della sua lunga vicenda biografica, che però si è consumata nell’arco di un triennio (1933-36) di una vita durata 97 anni. Qualsiasi lavoro di carattere biografico si voglia fare su Schmitt non può prescindere dal lavoro minuzioso di trascrizione e annotazione fatto in questo volume che supera decisamente il tentativo analogo uscito presso Neri Pozza del 2005, il cui fine era quello di darci uno Schmitt da consegnare alla storia come “vile”, “imboscato”, “carrierista”. Ma ove questo fosse, resta però incomprensibile l'immenso interesse, ognor crescente, intorno a questo personaggio del Novecento che - direbbe Hegel - è stato figlio del suo tempo, e certamente nel modo migliore in cui lo si poteva rappresentare concettualmente. Sono preziosi gli epistolari che via via escono.

In questo blog iniziamo, in forma privata e dopo essere stati spronati in ciò che già avevamo in mente, una riedizione in ordine rigorosamente cronologico tanto delle lettere quanto dei Tagebücher, corredandole di iconografia attinta dalla stessa rete e da edizioni cartacee disponibili. Al tempo stesso ci appare più utile lavorare alla redazione di apparati che non all'inflazione di nuovi lavori si Schmitt, in genere - come si legge nella Non-Intervista di Lanchester - uno più idiota dell’altro. Ma è da rigettare metodologicamente e storiograficamente qualsiasi tentativo di ricondurre alla banalità dell’esistenza (della “carriera”) quanto il tempo e le vicende tragiche di un lungo arco storico hanno cristallizzato nella vita di un singolo individuo vissuto 97 anni. Certamente, anche l'uomo Schmitt andava al bagno e aveva i suoi bisogni corporali, ma non abbiamo bisogno di interrogarci su di essi e di investigarne, allo stesso modo in cui il prof. Lanchster, pilastro della facoltà di Scienze Politiche, si interessava dei gabinetti di facoltà e se ne discuteva perfino nei consigli di Dipartimento, con un certo mio disappunto, per i temi messi all'ordine del giorno.

Prevedo un'obiezione da parte di chi per avventura legge un testo in costruzione, che cresce per aggiunte successive. Mi immagino anche che sia un lettore ostile, decisamente nemico e malevolo. Potrà dire che è una mia rivalsa personale, una mia rivalità personale con Lanchster, per fatti e circostanze che si posson tirar fuori. Non è così, ma sarebbe increscioso e antipatico scendere in dettagli e in giustificazioni non richieste e non dovute. Non si tratta poi di distinguere nel testo fra una parte scientificamente valida e poche cose marginali che riguardano meschine faccende private, tanto più che esiste la registrazione e la sbobinatura. Siamo al punto, anche se a mia volta non ho una registrazione da esibire. A me Kaiser, in casa sua, nella sua villa nella Foresta Nera, dove mi recavo ogni volta che andavo in Germania, e dove facevamo insieme il punto della situazione su tutte le numerose e diverse questioni che riguardavo Schmitt, mi disse che al signor Lanchster, testimone Anni Stand, era stato fatto divieto di registrare l'incontro che era stato concesso a Lancaster non so per intercessione di chi e attraverso quali canali. Orbene, questo divieto di registrare la conversazione è un fatto originario, che precede qualsiasi contenuto il Prof. Lanchster pensa di avere sbobinato. A differenza delle interviste contenuto in Imperium non si trattava di una Radio o di una televisione, ma di un privato che si presenta in una casa privata munito di apparecchi di registrazione, cosa che appunto gli era stata vietata. Il senso della lettera di Kaiser a me indirizzata per ricordare il divieto è questo e solo questo, e non ve ne è un altro. Chi vuol credere, creda, chi non crede, si regoli pure come meglio crede. Io onoro ancora una volta, nel 2017, dopo aver ascoltato in data odierna la registrazione di radio radicale del 15 marzo 2016, un compito di ambasceria che mi era stato affidato nel 1983, direttamente da Schmitt e dal suo plenipotenziaro Joseph H. Kaiser, le cui lettere ho qui esibito. Schmitt aveva nel maggio del 1983 quasi 96 anni, ed aveva continuo bisogno di assistenza. Per gli aspetti quotidiana era validamente assistito da Anni Stand che l’accudiva. Per gli aspetti tecnico-giuridici appunto dal prof. Kaiser, che già da anni curava gli interessi di Schmitt. La formalizzazione e pubblicizzazione di questo impegno si rese necessaria proprio nel maggio del 1983, per l'irresponsabile e irriguardosa intrusione nella vita di una persona. presto colpita dal lutto e dal dolore per la morte della sua unica figlia, un dolore che avrebbe condotto il quasi centenario Carl Schmitt alla debilitazione crescente, alla sofferenza, alla morte. Se l’Intervista di Klaus Figge, persona che veniva a Schmitt dal devotissimo Forstoff, nel 1971, effettivamente aggiunge elementi di conoscenza a quanti si interessano di Schmitt, quella di Lanchster, una Non-Intervista, condotta nel modo che sappiano, non aggiunge nulla alla conoscenza di Schmitt, ma la inquina se pretende di porsi ed accreditarsi come una fonte. Certamente, porta qualche utilità, o almeno così lui crede, allo stesso Lanchster nella misura in cui i suoi interlocutori accettano per buona la sua Non-Intervista. Mi chiedo se abbia senso notificare a radio radicale tutte queste mie riserve mentali, obiezioni, rimostranze, sconfessioni. Ad incominciare dall'interessato e principale responsabile, se ne sono infischiati per oltre trent'anni e non vedo quali ripensamenti dovrebbero adesso avere. E cosa io debba da loro aspettarmi. Ho detto in apertura che ero un tempo abituale ascoltare di radio radicale e che poi mi disaffezionai. E lo dissi a Marco Pannella, per il quale ho sempre conservato una stima più o meno grande a seconda delle sue posizioni. Poiché non ci manca lo spazio e non dobbiamo chiederlo a nessuno, non ometto qui di narrare la ragione della mia disaffezione. Seguivo in particolare la rassegna stampa di radio radicale, all'epoca curata da Massimo Bordin, Il direttore di Rinascita, un quotidiano, certamente con una sua connotazione, mi raccontò della sua censura da parte della rassegna stampa, che accuratamente evitava di includere nella lista dei quotidiani che ogni mattina Bordin leggeva e commentava, dando i voti a ciò che leggeva. La spiegazione che fu data era che Rinascita non la si trovava in edicola. Non era vero. Aveva una diffusione nazionale e in edicola se uno la cercava, la si trovava. E comunque il Direttore, che aveva un interesse pubblicitario a che anche il suo quotidiano venisse menzionato nella rassegna stampa, fece mandare per oltre un mese una copia del quotidiano direttamente alla sede di radio radicale. Non ne vollero sapere lo stesso. imbattutomi in Bordin, gli contestai il fatto, dicendo che non mi sembrava “oggettivo” escludere un quotidiano dalla sua rassegna. Mi rispose che lui non era “obiettivo” e non intendeva esserlo. Lo riferii a Pannella, il quale mi rispose che lui però era “oggettivo”, ma io non avevo più interesse a sorbirmi la soggettiva di Massimo Bordin, ed in genere di radio radicale, al quale diedi un bel poco di denaro direttamente dalle mie tasche per tutti i piagnistei che faceva per il venir meno del finanziamento pubblico. Avendo già avuto esperienza con Massimo Bordin, non voglio sentirmi dire da Giuseppe Di Leo, che lui non è oggettivo e non intende esserlo. Aver chiamato Fulco Lanchster a parlare - e in effetti non ne hanno parlato - di un libro curato da Günter Maschke è come pretendere che una parte in causa parli magari con oggettività di chi lo confuterebbe se fosse chiamato a parlare. A differenza di Schmitt e di Kaiser, fortunatamente Maschke è ancora vivo e lucido. Che Iddio lo conservi ancora per molti, molti anni! Un uomo che nella sua convegnistica, nel suo uso di fondi pubblici, Lanchster non si è mai neppure minimamente sognato di invitare e finanziare, ma ha sempre accuratamente ostracizzato. L’intervista estorta a Schmitt gli è servita per la sua carriera ed è davvero curioso come rimproveri a Schmitt di essersi imboscato nella prima guerra mondiale, per scrivere il libro che gli sarebbe servito per vincere la docenza, senza concorrenti, morti in guerra. Inaudito!  Chissà se Lanchster, il “giornalista” amante del gossip schmittiano, avrebbe anche narrato delle sue recriminazioni contro Maschke per avere egli scritto su Der Staat ciò che Joseph H. Kaiser gli aveva assicurato e certificato: che “giurista che non guarda se stesso" non era stato autorizzato a condurre una intervista a Carl Schmitt e che pertanto il suo testo deve considerarsi alla stregua di un’opera di fantasia, magari un romanzo storico, con un misto di verità e invenzione.  Il mondo accademico è per il resto  – e con le eccezioni che sempre confermano la regola - il massimo della auto-referenzialità: è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago che un accademico, certi accademici,  manifestino il comune senso del pudore. Se non fossi stato già chiaro e persuasivo sulle ragione per le quali non attribuisco proprio nessun valore scientifico alla Non-Intervista estorta da Lanchster a Schmitt nel maggio del 1983, quando era forse già cominciato il declino, il crollo di Schmitt per la morte di Anima avvenuta in giugno, ma la cui malattia procedeva lentamente e inesorabilmente. Al padre venivano nascoste le condizioni della figlia, ma in queste cose è difficile ingannare un padre. Può quindi immaginarsi un'inquietudine in Schmitt ora nascosta ora palese fino al crollo. Ho avuto una lunga esperienza con l'alzheimer di mia madre che si è sviluppato lentissimamente lungo almeno un decennio. All’inizio la cosa è impercettibile, ma poi diventa sempre più evidente. Ritornando ora alla Non-Intervista e a quei particolari, personali, riguardanti sia me che Tommissen, ed altre stranezze, se non stati inventati di sana pianta da Lanchster o da lui completamente travisati, essi possono documentare un inizio del declino fisico e mentale di Schmitt. Ed in questo caso non si può distinguere fra una parte "valida" della prestazione intellettuale di Schmitt, sottoposto a un'indebito stress, perché il prof. Lanchster aveva una sua carriera da costruire, ed una parte invece marginale e trascurabile. La prestazione intellettuale va considerata per intero e sempre che sia attendibile essa è oggetto di interesse per un neurologo, ma non per lo scienziato che non ha bisogno degli ultimi istanti di lucidità di Schmitt per valutare e comprendere tutto il lavoro intellettuale precedente in oltre 90 anni di vita vissuta fra la fine del XIX secolo e oltre le due guerre mondiali del XX secolo. Sarà stato pure un “vile”, un “imboscato", un “carrierista”, all'inizio della sua vita, cosa il cui onere da dimostrare è tutto a carico del Prof. Lanchster, ma l'aver voluto estorcere a forza un'intervista subito sconfessata dal diretto interessato io lo chiamo vero e proprio sciacallaggio da parte di un giovane che era in fregola per la sua carriera e che doveva avere maggior rispetto umano per un ultranovantenne. Che i suoi Illustri Colleghi gli reggano il sacco, ben testimonia di quella solidarietà corporativa che da sempre caratterizza l'ambiente accademico, almeno un certo ambiente, di cui con entusiasmo parla il Giornalista Lanchster, ma che io considero nella sua forma deteriorata, delle quale tutti sono sempre stati ben consapevoli.


(Testo non definitivo, scritto di getto, e da rivedere. Non ho pubblicizzato troppo questo testo ancora non definitivo. Ne comunico l'esistenza a pochi amici, dai quali aspetto le reazioni. Rimaneggio continuamente il testo, che per questo motivo può presentare difficoltà in chi legge, mentre eseguo scansione ed elaborazioni scanner di un gruppo di fotocopie ed altri testi. Al momento il fascicolo del SD su Schmitt che ho già pubblicato in immagine, e seguirà presto la pubblicazione per immagine e in testo degli Atti del processo Prussia contro Reich, che è l'oggetto centrale dell'Intervista del 1971. Combino un'attività manuale con il riascolto della registrazione, dalle quale ogni volta emergono particolari interessanti e illuminanti).
RIPETO L'AVVERTENZA FATTA: questa è una bozza che devo rielaborare. Qualsiasi uso all'interno di una ristretta cerchia privata e per qualsivoglia fine non è da me autorizzato. Mi rendo conto che una ricostruzione accurara, anche letterariamente curata, può avere una sua importanza nella storia della cultura, in particolare della recezione di Schmitt in Italia, ma mi riservo un secondo ciò che è stato scritto da me tutto di getto, appena ascoltata la registrazione di Radio radicale. Nel frattempo però do libera circolazione alla corrispondenza a me indirizzata da Carl Schmitt e Joseph H. Kaiser nel maggio del 1983. Ognuno dia ad essa l'importanza e il valore che meglio crede.

                  

1 commento:

  1. Molto interessante. Queste e altre riflessioni/curiosità dovrebbero essere raccolte in un libro. Il cartaceo continua ad essere il formato migliore nell'eterna lotta con il tempo. Ci pensi.

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